La guerra a Gaza è finita come tutte le guerre: un accordo, reciproche concessioni, un cessare del fuoco e forse in futuro la pace. Poteva succedere due anni fa con il rilascio di tutti gli ostaggi. Non è successo prima perché Hamas credeva di stravincere, di infiammare il medio oriente, di spezzare gli accordi di Abramo e isolare Israele dal resto del mondo. Le cose sono andate diversamente. A essere isolata e sconfitta è Hamas che si trova contro più di 20 Stati arabi e musulmani e ha perso sia il suo sponsor militare, l’Iran, che quello finanziario e politico, il Qatar.
C’è voluto Trump e quella speciale miscela di interessi personali e ambizione planetaria per ribaltare il tavolo. Si pensava che senza risolvere la questione palestinese non si sarebbe potuto stabilizzare il medio oriente, invece era vero il contrario: bisognava stabilizzare il medio oriente per risolvere la questione palestinese. L’altra parte del lavoro, quella sporca, l’ha fatta Israele, l’ha fatta Netanyahu, il “criminale”. Si è accollato il peso di una guerra che si poteva vincere solo al prezzo di terribili perdite civili e di una violenta mostrificazione di Israele. In ogni guerra i civili muoiono, forse anche più che in quella di Gaza. Ma quasi sempre hanno alternative al restare sotto le bombe: hanno rifugi e hanno sistemi di allarme, e hanno paesi vicini disponibili ad accogliere i rifugiati. Esattamente come accade in Ucraina dove la gente si salva nei bunker o vive al sicuro in Polonia o in Germania. Niente di tutto questo era possibile per la gente di Gaza. Non c’erano tunnel per i civili, servivano solo per i terroristi e per torturare gli ostaggi. Nessuno Stato arabo confinante ha accettato di accogliere profughi palestinesi.
Uomini donne e bambini dovevano versare il loro sangue per rendere più forte nel mondo la causa palestinese. I leader di Hamas ce lo hanno detto in tutti modi ma non sono stati veramente ascoltati. Così l’antisemitismo che è il fondo limaccioso dell’animo occidentale è venuto a galla con tutta la sua pestilenza. Un coming out globale e liberatorio: “siamo tutti antisemiti, morte agli ebrei”. E giù applausi. Il piano Trump interrompe questo sabba di odio e di vendetta e lascia disoccupati i teorici del genocidio. In Egitto i “genocidari” e i “genocidati” erano nella stessa stanza, si sono stretti la mano e hanno celebrato l’accordo. La fine della guerra mette fine alle morti. Poteva succedere molto prima: non c’è mai stata la pianificazione lucida dell’eliminazione del popolo palestinese, la volontà di cancellarlo dalla storia. Quello che si voleva era impedire un altro 7 ottobre. Non si è mai visto un genocidio che finisce con una stretta di mano.
I genocidi nella storia si contano per fortuna sulle dita di una mano e hanno sempre avuto poco a che fare con le guerre. Il genocidio degli ebrei correva parallelo alla guerra mondiale ma non la incontrava mai, semmai la privava di risorse. Lo stesso vale per il genocidio dell’holodomor contro i contadini ucraini o quello contro gli armeni in Turchia o dei Tutsi in Ruanda.
Eppure quanti professori, giuristi, avvocati, scrittori, artisti, intellettuali, sindacalisti hanno gridato “GENOCIDIO”, tutti convinti che la liberazione degli ostaggi fosse propaganda, o un noioso intralcio alle loro prediche e che lo sterminio sarebbe continuato comunque. Cosa hanno da dire ora davanti alle piazze di Gaza in festa, al senso di liberazione che vivono oggi i gazawi, ai sorrisi dei bambini in strada, gli abbracci, i cori! È improvvisamente finito il genocidio ? La carestia? No è finita la guerra scatenata da Hamas contro gli ebrei di Israele e del mondo e che poteva essere vinta dai terroristi per quanto stava alle piazze e a molti governi occidentali. Avevano tutti imparato a dire genocidio ogni volta che serviva a sentirsi “dalla parte giusta della storia”e oggi si ritrovano da quella sbagliata.
Giancarlo Loquenzi

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