Certamente. Sono rendite abnormi prodotte - senz'alcun merito - da uno scandaloso differenziale tra tassi attivi e passivi, un salasso immorale ai danni d’un’utenza disarmata.
Ma la pubblicistica liberal-liberista insorge. Si tratta, così sostiene, d’una manomissione distorsiva che indebolisce la credibilità del sistema finanziario. Turba i meccanismi del mercato, produce danni al comparto e a tutti gli infiniti azionisti che detengono le loro piccole quote di capitale.
Ci risiamo dunque con la penetrazione sociale del fenomeno finanziario. E con la difficoltà di predisporre interventi incisivi di moderazione/regolazione, sennò il mercato ti bastona.
Ma resta il fatto che la formazione di extraprofitti s’accompagna al monopolio o a condizioni oligopolistiche, nei quali la concorrenza è assai limitata o assente.
E allora, cari liberal-liberisti, perché non essere coerenti con le sacre dottrine e insorgere per il prodursi di quelle circostanze patologiche?
Perché la governance politica non s’interroga sulle degenerazioni del sistema, dominato da grandi players che fanno il bello e il cattivo tempo fottendosene delle regole costitutive?
La tassazione degli extraprofitti riduce il privilegio col vantaggio della generalità, ma non guarisce dai monopoli/oligopoli e nemmeno ripristina la concorrenza.
Pare una cresta dello Stato fatta sulle scelleratezze del privato.
VITO BORRELLI
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