EMERGENZA UMANITARIA IN TIGRE' GRAZIA AL PREMIO NOBEL AMICO DI OBAMA , IL PRESIDENTE ABIY AHMED ( UN MACELLAIO )

 Ieri l'annuncio dell'offensiva finale del Primo Ministro Abiy Ahmed per la presa di Mek’ele (Macallè) capoluogo della regione del Tigray da dove la gente continua a fuggire nella paura dell'attacco imminente dopo che l'esercito ha ricevuto l'ordine di entrare nella "fase finale" dell'offensiva per fermare la ribellione. Secondo quanto riportano i media i combattimenti sarebbero finora rimasti al di fuori del capoluogo, una città densamente popolata di mezzo milione di abitanti. Il governo etiope ha minacciato la popolazione che non ci sarà "nessuna pietà" per chi non prenderà in tempo utile le distanze dai leader ribelli locali. Abiy ha intimato alla gente di deporre le armi e di rimanere in casa mentre dava all'esercito l'ordine di avanzare. Il governo ha allo stesso tempo promesso di proteggere i civili. Nella regione del Tigray comincia a mancare cibo e altre risorse per 6 milioni di persone. Le Nazioni Unite continuano a sollecitare l'accesso immediato perché le organizzazioni umanitarie neutrali possano portare gli aiuti necessari. Il governo etiope ha risposto che un "corridoio umanitario" potrebbe essere aperto sotto la gestione della Ministero della Pace del Paese, senza fornire ulteriori dettagli. Intanto le crisi si stanno moltiplicando. I profughi dall'Eritrea si ritrovano sul fronte dei combattimenti che passano vicino ai campi nel nord della regione  dove si trovano quasi 100.000 rifugiati. La BBC ha riferito di aver visto forze etiopi ammassarsi al confine con il Sudan e, secondo le voci raccolte tra i profughi, bloccherebbero le persone impedendo loro di lasciare il Paese. Su questa denuncia iil governo etiope non ha rilasciato dichiarazione. Oltre 40.000 profughi sono giunti in una zona remota del Sudan, dove le comunità locali stentano a fornire cibo, alloggio e assistenza. Quasi la metà dei rifugiati sono bambini. La diffusione di COVID-19 è solo una delle preoccupazioni cui si trovano a far fronte gli operatori umanitari. "Non possiamo mantenere il distanziamento sociale qui nel campo", spiega  Mohammed Rafik Nasri, dell'agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite a Associated Press. "È davvero una sfida con tutti i problemi e i bisogni primari cui far fronte e che stanno crescendo perché i numeri sono i rapida crescita. Oggi per esempio è in arrivo al campo un convoglio di 1.000 persone. E dare rifugio è la sfida più impegnativa che abbiamo al momento". Nasri ha lanciato il grido di allarme: il campo di Umm Rakouba, pensato per ospitare al massimo 5.000 persone è già al doppio della propria capienza. Spaventati, spesso senza notizie dei propri cari rimasti indietro, gli ospiti del campo condividono racconti orribili dei combattimenti e supplicano di farli smettere. "Mi rende così triste. Il Paese non ha pace. Vedere una tribù che uccide l'altra. È così difficile", dice Atsbaha Gtsadik. Con le comunicazioni e i collegamenti  interrotti, è difficile verificare le notizie sui combattimenti scoppiati il 4 novembre scorso tra l'esercito etiope e le forze armate del Fronte di Liberazione del Popolo del Tigray, una volta al potere in Etiopia, ma messo da parte sotto il governo di Abiy. Centinaia, forse migliaia, di persone sono state uccise. I combattimenti minacciano di destabilizzare l'Etiopia, Paese chiave nello scacchiere geopolitico del Corno d'Africa, che potrebbe anche destabilizzare i vicini. Abiy, premio Nobel per la pace lo scorso anno, ha rifiutato ogni "interferenza" internazionale diendo che gli emissari di alto livello dell'Unione Africana proposti come mediatori nel conflitto possono incontrarsi con lui, ma non con i leader del Tigray. 

RAI NEWS

immagine da Wikimedia

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